Durante tutto il Quattrocento alcune comunità presenti lungo le vie di traffico, nel cuore delle Alpi, avevano approfittato delle frequenti crisi del ducato di Milano per scendere nell’Ossola o nella valle del Ticino e tentare di conquistare le cittadine di Domodossola e Bellinzona, ritenute le porte meridionali dei passi alpini. Gli urani, che presiedevano il nord della via del San Gottardo, sapevano che per controllare veramente il passo bisognava possederne i due versanti ed erano scesi a diverse riprese nella Leventina riuscendo ad ottenere diversi vantaggi commerciali con Milano. L’occasione per impossessarsi della Valle si presentò nel 1403, alla morte del duca Gian Galeazzo Visconti e alla susseguente crisi politica gli urani occuparono la Leventina e le imposero il loro protettorato. Le continue controversie tra leventinesi e sudditi ducali, specialmente della Riviera, circa i beni situati nel territorio ducale (selve castanili, alpi, manutenzione delle vie di traffico) furono il pretesto per una nuova avventura al sud delle Alpi. Uri dichiarò guerra a Milano, inizialmente senza il consenso dei confederati: in un secondo tempo anche gli altri sette cantoni, per tener fede al principio di solidarietà federale, scesero in campo. L’esercito svizzero, forte di circa 10'000 uomini, mise sotto assedio Bellinzona (novembre 1478), effettuò razzie e saccheggi nella campagna circostante, spingendosi fino alle porte di Locarno e di Lugano. Vista la difficoltà di espugnare Bellinzona, difesa da alte mura e potenti castelli, in considerazione del peggioramento del tempo e delle forti nevicate che ostacolavano i collegamenti e il rifornimento dei viveri, i confederati decisero di togliere l’assedio e ripassare le Alpi lasciando una ridotta guarnigione (175 uomini) a difesa della Leventina.
Un esercito ducale (circa 8'000 uomini) decise di avventurarsi verso la Leventina nell’intento di punire quei “montanari ribelli” e di proseguire fino al passo del San Gottardo per impedire ulteriori incursioni urane. Ai soldati confederati, (di Uri, Lucerna, Svitto e Zurigo) che presero posizione nella pianura a difesa del villaggio di Giornico, si aggiunsero 400 leventinesi che si appostarono sul sentiero che da Bodio portava al terrazzo di Sobrio. Il loro intervento fu decisivo: mentre la neve ostacolava il movimento di uomini e cavalli dell’esercito ducale, costretto ad avanzare nella valle stretta formando un’unica colonna, il manipolo leventinese aveva l’indubbio vantaggio del fattore sorpresa, di conoscere il territorio, di essere attrezzato per muoversi sulla neve.Il lancio di tronchi d’albero e sassi creò forte scompiglio nelle truppe ducali, impossibilitate a svolgere qualsiasi manovra bellica e lo scontro si risolse in una disordinata fuga delle truppe milanesi. La località dello scontro, svoltosi il 28 dicembre 1478, sul territorio tra Bodio e Pollegio, viene precisata, nei Martirologi di Prato e di Mairengo, come“Vicinanza di Giornico”, che all’epoca si estendeva fino al Brenno. Al termine della battaglia rimasero sul campo più di mille morti dell’esercito milanese e 50 leventinesi (oltre a 60 feriti).I Confederati lamentarono solo 12 feriti d’arma da fuoco, poiché si trovavano lontani dalla mischia e non ne restarono coinvolti. I morti furono sepolti in fosse comuni e i confederati, nel 1487, decisero di costruire a Pollegio la chiesetta dei Santi Martiri Innocenti in memoria del fatto d’arme. Con la Pace di Lucerna del 1480 il ducato di Milano rinunciò a ogni pretesa sulla valle Leventina che passò sotto il controllo urano e vi rimase fino al 1803.
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